il Laboratorio di filatura

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   A Thiene, nell’antica contrada Capovilla, poi San Vincenzo ed ora Via San Camillo de Lellis, di fronte al capitello con la Madonna in trono tra i Santi Giuseppe e Antonio quasi a ridosso dell’antica chiesetta di San Vincenzo, è tuttora ubicato il Laboratorio per la lavorazione della Canapa di proprietà della famiglia Verona di Thiene.

   Unico esempio esistente, a testimonianza di un’attività artigianale ormai scomparsa, tale officina era in grado, sino a pochi anni fa, di espletare completamente le sue funzioni. Francesco Verona (1894-1990) conosciuto come Barba Sogáro, non per la barba che non aveva mai avuto, ma per avere ereditato dallo zio oltre al laboratorio anche il soprannome (Barba in dialetto veneto significa zio, Sogáro significa fabbricante di corde), camminava su e giù per un lungo andito ombreggiato da gelsi secolari con la matassa di canapa, riducendola in spago e poi in grossa fune.

   Questo angolo di Thiene conserva ancora, quasi intatta, la sua fisionomia medievale, forse per merito del Barba stesso, che non aveva mai voluto adeguarsi ai tempi. Nato nel 1894 (lavorò fino al 1985) non aveva mai voluto modernizzare il laboratorio. Persino la luce elettrica era rimasta esclusa da questo esercizio sospeso nel tempo e del tutto incurante dei processi di industrializzazione. Quando cominciava ad imbrunire si tornava a casa oppure si andava nella stalla di qualche vicino a riparare gli strumenti di lavoro.

   La canapa grezza arrivava dal ferrarese in balle di circa 100 kg ciascuna, che venivano sciolte e divise in due parti: la parte più legnosa serviva per ricavare il filo grezzo per le corde più grosse, con l’altra, il cuore, si ricavava un filato di qualità superiore, che serviva per le corde sottili o per la tessitura della tela.

   Per spaccare la canapa veniva usato un robusto palo di legno, piantato per terra, chiamato Croce, attraversato, a circa 180 cm da terra, da un ferro dove il Barba o i suoi familiari sbattevano con forza i gambi di canapa fino a ridurli in tanti filamenti. Si passava poi a tirare la canapa, spaccata, sopra uno Sgránfio in modo che la parte più sottile restasse nelle mani del Barba. La parte finale del lavoro, e cioè la pettinatura, consisteva nel passare molte volte la canapa sopra i ferri sottili di un Pettine da Canapa fino a farne uscire una fibra di prima scelta, con la quale si ricavavano corde sottili per svariati usi.

   Il Barba prendeva sotto braccio una grossa falda di canapa, attaccava i capi del filo su cilindri di diverse misure a seconda della grandezza della corda le Botesèle ed iniziava a filare. Il percorso, in genere, era di sessanta metri, tanto era lungo l’Andio, il viottolo di pertinenza del laboratorio. A seconda della grossezza della corda, venivano uniti tre o quattro fili per mezzo di un Arbùio, che poi venivano immersi in una vasca d’acqua in pietra, per ammorbidirli e renderli più adatti alla lavorazione.

   Una figlia del Barba, Maria o Valentina reggeva e manovrava il Cào, che teneva distinti dalla parte delle Bote∫éle i tratti degli spaghi ancora tra loro separati, e dalla parte dell’Arbùio il tratto della corda già formata. Colei che faceva scorrere progressivamente il Cào verso le Bote∫éle dava la giusta compattezza all’intreccio sapendone regolare lo spostamento.

   La corda finita veniva raschiata con una rete metallica Smàja per renderla meno ispida al tatto. Una grande ruota chiamata Mòla era il motore trainante: veniva fatta girare lentamente a mano in modo da mettere in movimento i cilindri che facevano attorcigliare i fili di canapa.

   Le corde di varie misure venivano caricate sul carretto in legno o sul manubrio della bicicletta ed infine vendute al mercato del lunedì di Thiene, in altri mercati dei dintorni, oppure direttamente in laboratorio. Il Barba serviva tutto il circondario, dall’Altipiano ai commercianti di Vicenza. Chi si forniva per la prima volta, chiedeva del Barba e tutti sapevano indicare la strada tanto era conosciuto. Anche la corrispondenza arrivava senza indirizzo, a volte bastava scrivere:

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… e la posta arrivava regolarmente.

   Il Barba è morto nel 1990, ma il laboratorio con tutti i suoi strumenti, custoditi gelosamente dalla figlia e dal nipote, continua ancora oggi a testimoniare un’arte antica grazie al recupero e alla passione per un lavoro ormai scomparso.

Luisella Verona

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